“Narciso e Boccadoro” di Hermann Hesse

Luciana De Palma
Un monaco e un artista intrecciano le loro vite nella complementare diversità delle rispettive nature.
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La luce, attraversando un prisma di cristallo, si rifrange in miriadi di riflessi, in sfumature che ci sorprende distinguere là dove, ad occhio nudo, possiamo solo scorgere un unico flusso di luce, compatto e candidamente denso; nello stesso modo questo romanzo cattura la natura umana, ci restituisce la molteplicità, le sue sfaccettature, provvedendo a mostrare la sua essenza sostanzialmente multiforme.

Come lettori siamo accompagnati a prendere atto della combinazione dei frammenti che compongono la nostra materia e tra essi riconosciamo, quali tracce indelebili che tratteggiano la peculiarità di ognuno, i sensi e le vicissitudini dell’anima, la vitalità del corpo e l’etera tensione spirituale.

Con colpi secchi e decisi Hermann Hesse batte sulla terra il suo bastone di artista e all’istante si spalanca dinanzi ai nostri occhi un bivio, le cui biforcazioni rispondono alle nature dei due personaggi principali, Narciso e Boccadoro. Inoltrandoci tra le pagine, avanziamo contemporaneamente su entrambe le vie, senza deciderci a preferire l’una o l’altra. Narciso è l’uomo di fede, è un monaco, è colto e soprattutto protende verso una spiritualità pura, consapevolmente distante dalla sterile osservanza dei soli riti religiosi.

La sua personale, intima tensione verso una maturazione che trascende e supera la schematica organizzazione gerarchica del monastero lo contraddistingue fortemente dai suoi confratelli e lo rende inviso all’abate. Narciso conosce Boccadoro quando questi si presenta al convento, spedito lì da suo padre per espiare una qualche colpa commessa dalla madre. La capacità di Narciso di cogliere, quasi come fosse una qualità magica, la vera natura di ogni essere umano lo induce a persuadere Boccadoro dal proposito di intraprendere la vita religiosa: non la via monacale, bensì quella dell’arte è ciò che gli appartiene.

Narciso non può tacere quello che una straordinaria onestà intellettuale gli impone di rivelare poiché ha visto in Boccadoro un destino diverso e, sapendo che non potrà mai incamminarsi sulla via della solitudine monacale, della rinuncia, della faticosa ascesi, con fraterna fermezza gli indica cosa invece dovrà fare. Boccadoro è un artista: ecco cosa è e cosa dovrà sforzarsi di diventare.

Viceversa in Narciso non possiamo non avvertire le maestose altezze che ha saputo raggiungere dopo molti anni in monastero, la solitudine di cui è circondato è frutto di una continua e difficilmente eguagliabile ascesi, la luce che avvolge la sua figura ci abbaglia, siamo certi della sua infinità santità; non è affatto semplice stare al suo passo, non riusciamo a cogliere, pur fiutandola, tutta la grandezza della sua anima. Dunque Boccadoro prende commiato da Narciso, lascia il convento e si mette in viaggio. Ma la saggezza, la purezza che ha visto sgorgare dall’uomo che ha conosciuto nel monastero gli restano impresse nella mente come un’orma nel cemento.

Boccadoro segue la sua natura e ne alimenta i tratti: vagabonda per le terre, è testimone delle brutture del mondo, incontra e ama moltissime donne. Diventato, dopo un lungo periodo di apprendistato, maestro della bottega presso cui ha studiato, rifiuta sia di riceverla in eredità sia di sposare la figlia del primo maestro. Riprende piuttosto a viaggiare, tormentato dalla spasmodica ricerca del modello perfetto che dovrà servirgli per portare a compimento ciò che ancora la sua anima reclama. Boccadoro intende realizzare il ritratto della Madre eterna, vuole condensare nel particolare il generale dei cui frammenti sparsi egli ha colto, durante le sue infinite peregrinazioni, i particolari. I sensi infatti non lo hanno soddisfatto, l’amore carnale non lo ha profondamente appagato.

Passano gli anni, Boccadoro è invecchiato. Ma è proprio prima di morire che riesce a scolpire il volto di una donna, quella Madre eterna alla cui ricerca s’era messo sin a giovane: le donne che ha conosciuto sono unite in quell’unica figura e tra i volti sommati c’è anche quello di sua madre. Nel frattempo Narciso, che ancora vive nel monastero, è divenuto abate, ma l’alta carica non nasconde le debolezze, non occulta le incertezze che egli, con umile onestà, riconosce in se stesso.

Non la filosofia, non la verità, non la fede hanno potuto da sole illuminare il sentiero; la ricerca non può essere esclusivo appannaggio di una delle due facce della duplicità che ci nutre, che ci connota, che argina, insieme alla riva opposta e parallela, i giorni della nostra esistenza. Ha vissuto secondo la sua natura, maturando la certezza delle infinite possibilità di cui l’anima si serve per raggiungere il divino.

Hermann Hesse dunque ci mostra, con un linguaggio semplice e scorrevole, l’impossibilità di negare la presenza, nella nostra anima, delle numerose quanto violente tempeste, ci invita a non pretendere che essa non ne sia tanto smossa quanto pungolata, non si può far finta di essere solo questo o solo quello. La complessità non è un mostruoso artificio della ragione: essa è la materia di cui siamo fatti. Saremmo pietre o nuvole altrimenti. Ed è provato che non lo siamo.

giovedì 5 Luglio 2012

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